martedì 23 novembre 2021

RI-FLESSIONE per STADI

 

"Dovremmo sempre riflettere un po’ di più, indugiare  sulla riflessione" ;  lo diceva soprattutto Lacan che sull’oggetto concreto, il mezzo con il quale otteniamo la  della riflessione, ovvero lo specchio, ha fatto, per sua stessa ammissione l’ingresso nel mondo della psicoanalisi  “ho fatto il mio ingresso nella psicoanalisi con uno scopino…”(si ha detto proprio così: uno scopino) “che si chiama stadio dello specchio” Nel l936,  difatti nell’ambito del Congresso di Marienbad, Lacan aveva presentato un suo intervento intitolato “Le stade su miroir. Théorie d’un moment structurant et génétique de la constitution de la réalité conçu en relation avec l’expérience et la doctrine psychanalytique”  e questo già di per sé rappresentava un tentativo di fare il punto sulle molteplici istanze a proposito della costruzione dell’identità personale, che in quel periodo con Freud ancora vivo, ma  messo un po’ da parte nel consesso psicoanalitico  per le sua ben nota revisione della teoria della Libido e la scoperta di un istinto o pulsione di morte,  era alla ricerca di una qualche nuova concezione che potesse fare da contraltare alla seconda topica dell’inconscio e  alle ultime conclusioni  freudiane. Lo specchio in quanto luogo della riflessione era appunto uno di questi elementi e  questo vale poteva valere anche quando lo specchio  non era ancora stato inventato o per permetterselo ci volevano 7 anni di grandi sacrifici economici:  la superficie di un ruscello, come ci rende fin troppo edotti Narciso, un vetro opacizzato, un pavimento tirato a…..eh si!!!!… specchio! ….“Specchio delle mie brame…”  dice la matrigna di Biancaneve “chi è la più bella del Reame?””
 lo specchio “riflette” ma lo fa assai spesso  appropriandosi dell’altro significato semantico connesso a tale verbo: riflette si l’immagine, ma anche il 
pensiero, e quello si sa, va ben oltre quel che appare:  gli anni che passano per l’odiosa matrigna e il paragone impietoso con la fresca  nipotina, così come la linea del naso nel romanzo di Pirandello “uno, nessuno e centomila” Lo specchio riflette l’immagine, ma anche quello che fa seguito all’immagine, e questo può ingenerare conseguenze inaspettate. Logico e naturale che dello specchio se ne sono occupati in parecchi, trovandoci sempre qualche cosa di ambiguo, di estremamente pericoloso, come Narciso ci ha insegnato  e tutto sommato lo stesso Freud sottende quando individua quella famosa e controversissima “pulsione di morte” - cosa c’è dietro l’ultima superficie della riflessione, cosa c’è oltre? Freud è stato il primo che non ha avuto il coraggio di  andare quell’oltre:  mancando di identificare  la morte con la figura di Narciso,ha perduto l’occasione di
 trovare un ben diverso referente da quel forzato Edipo come estremo  soggetto di de-siderio, sicchè le arditissime tesi di Al di là del principio del piacere rimangono sempre un po’ zoppe, claudicanti proprio sul tema cardine del desiderio: Da qui anche il fatto che alla parola “specchio”  poeti, romanzieri, filosofi e soprattutto psicoanalisti, abbiano sempre avuto paura di indentrarsi
  in un sorta di campo minato, dove quello che è, non è sempre quello che sembra e viceversa:  massima ambiguità e poliformità non solo di immagine, ma anche di pensiero, di idee, che spesso e volentieri sono parecchio al di là della riflessione. Lacan aveva un po’ aggirato il problema, facendo dello “stadio dello specchio” una sorta di epistemologia metodologica della identità umana, ovvero  un qualcosa che  consiste nel riconoscimento da parte del bambino nella sua immagine speculare, cosa che grosso modo si verificava nel periodo che va dai sei a diciotto mesi, quindi in un periodo in cui la formazione sia psichica che motoria è ben lungi dall’essersi definita. L’assunzione della propria immagine come propria, provoca nel bambino dice Lacan, uno stato di giubilo, tuttavia, quell’immagine, che nello specchio appare completa e unitaria, è discordante con lo stato d’insufficiente coordinazione motoria che caratterizza l’infanzia in quel periodo, nonché con la non padronanza del linguaggio. Il riconoscimento della propria immagine costituisce una vera e propria identificazione, nel senso che provoca una trasformazione soggettiva. Nella prospettiva di Lacan, la nozione di “stadio dello specchio” non ha niente a che fare con un vero stadio, nel senso di “fase”, né con un vero “specchio”. Lo stadio diventa un’operazione psichica, ontologica, a partire dalla quale si costituisce l’essere umano in un’identificazione  In francese, “Io” si può dire Je oppure Moi. Per Lacan, il Je fa riferimento al soggetto dell’inconscio, il Moi, invece, allude all’istanza psichica che si costituisce a livello immaginario;   In quanto poi alla gioia giubilatoria con cui il bambino riconosce l’immagine riflessa come sua, Lacan pone l’accento su  questa illusione di completezza e unità, che non ha effettivi riscontri sulla realtà, e dice la famosa frase “”lo specchio dovrebbe attendere un tantino, prima di riflettere” perché come ci insegnano anche i più antichi testi dell’umanità, l’Iliade in primis, la originaria percezione che l’uomo ha di se stesso è divisa per parti e non unitaria “il piè veloce Achille, Atena dalle bianche braccia, il ceruleo occhio di Afrodite, financo il multiforme ingegno di Odisseo; quindi costituito in questo modo, l’Io è, di fatto, la sede di un  misconoscimento, poiché l’immagine che lo specchio rimanda dà l’illusione di unità e di padronanza, ma di fatto ’Io si costituisce fin dall’inizio come identificazione di un Io ideale e come ceppo di tutte le successive identificazioni secondarie. Si capisce da queste succinte note, che tipo di importanza abbia  lo specchio a livello psichico e anche comportamentale,  tanto da poter essere considerato come un punto di inizio della struttura soggettiva di ciascuno di noi, non aliena però da problematiche legate appunto sia alla riflessione che all’identificazione, sicchè si fa ritorno sia a Biancaneve, che al naso  di Pirandello e ben presto si passa ad investire non solo la struttura soggettiva, ma anche quella delle relazioni interpersonali, e questo anche nell’arte più moderna il cinema, che sullo specchio gioca molteplici dei suoi registri, dal sequel  di spazi interni  nel film di Resnais “l’anno scorso a Marienbad”forse solo casualmente con l’accenno al luogo
dove la teoria di Lacan venne la prima volta enunciata o addirittura citato espressamente già dal titolo “come in uno specchio” dal grande Ingmar Bergman.Psicoanalisi, cinema e anche tutte le altre arti, sono tutte in qualche modo coinvolte nella definizione dello specchio, che quindi non è solo una fase, sia pure della rilevanza di quella quasi dell’inizio, ma investe tutto il nostro essere nelle varie sequenze della
vita e soprattutto si pone a ultimo diaframma della morte andando a coincidere col desiderio

 

 

domenica 7 novembre 2021

KOJEVE E IL DR.NO DELLA SPECTRE

 

La precisazione del termine Spirito della storia, che  può essere inteso in diverse accezioni così come mi aveva assegnato di analizzare come compito/sfida il mio professore di filosofia alla vigilia degli esami di maturità classica, indicandomi un referente all’epoca  inusitato ovvero quel Alexandre Kojeve nelle sue lezioni sulla fenomenologia dello Spirito di Hegel e  a mò di paradigma emblematizzato nell’incontro Hegel Napoleone dopo la battaglia di Jena,  non mi ha soddisfatto neppure oggi ad oltre 50 anni di risposta differita . Lo scritto che ne è venuto fuori, nel blog Lenardullier.blogspot.com, bhe è troppo complesso in una accezione di media cultura, ma è alquanto insufficiente  in un consesso di addetti ai lavori, cioè filosofi ma anche storici professionisti e intelligenti. Ho il sospetto di essermi collocato in quella famosa boutade di Feynman “Il problema non è che le persone siano ignoranti. Il problema è che le persone sono istruite quel tanto che basta per credere a ciò che è stato loro insegnato e non abbastanza istruite per mettere in dubbio qualsiasi cosa da ciò che è stato insegnato loro.”
Così Hegel rivisitato con la lente di Kojevè, proprio come mi aveva suggerito il professore indubbiamente rivelava una significanza molto differente , tanto da obbligarmi, in parte,  ad un ripensamento sull’intero pensiero del, per me mai riconosciuto, grande  filosofo che giustappunto ho sempre giudicato schematico, presuntuoso e anche banalotto. Quanto ho sfottuto anche in qualificati consessi quell’ossessione di Hegel per gli schemi e il loro superamento solo in virtù di una non meglio precisata sintesi,  processata a consuntivo,  dialetticamente diceva lui , con quelle banalissime “tesi e antitesi “ spesso e volentieri identificate nella morte dei vari scibili della conoscenza umana o tutt’al più in una sorta di essenza in più : la morte dell’arte, la morte della storia, l’astuzia della Ragione, quel famoso reale come razionale e razionale come reale. Una mia personale critica che mi ha consentito di non venire mai  minimante influenzato dal tanto strombazzato “materialismo storico e scientifico” di Marx, proprio in quanto colto sulla scia di questa pretestuosissima dialettica hegeliana, ovvero una sorta di “scemo più scemo”.  Eppure è strano perchè la  questione della “morte”  aveva invece influenzato in maniera indelebile il mio pensiero, ma l’accezione non era quella dialettica, ma quella pulsionale di Freud  di “Al di là del principio del piacere” Qui si che la morte o fine si era caricata di qualcosa di ineluttabile, di estremamente profondo, inscritta in processo biologico, e non in costruzioni astratte e forzate del pensiero umano. Però ecco  ci voleva  la lente di Kojeve per mettere a fuoco un elemento di possibile frattura proprio del processo dialettico, focalizzandone un aspetto di distinguo, fondato sull’elem ento linguistico addirittura fonetico e anche semantico, ovvero quello ambivalente della parola Spirito. La fenomenologia dello Spirito di Hegel risulta fondata sul desiderio, desiderio di riconoscimento da parte dell’altro -  sembra quasi, dico quasi, di sentir echeggiare Lacan, ma Hegel al contrario di Kojeve non era in possesso della nozione di inconscio così come scopertto da Freud,  né della distinzione Saussuriana di significato e significante, quindi la sua accezione è mancante e anche velleitaria: il suo desiderio è un desiderio spurio, si presta a varie interpretazioni; solo attraverso Kojeve si può risalire alle diverse accezioni della parola Spirito, che postulando un inconscio  con tanto di meccanismi di rimozione, può essere riferita ad una fine, che può tranquillamente essere vista come morte, ovvero come pulsione assoluta e originaria secondo la teoria di Freud , ed anche ad un differente significante di tale parola che può fare riferimento all’accezione più di vulgata laddove lo Spirito è anche il fantasma, lo spettro.
Sicchè, giocando in termini che in questa accezione  neppure Kojevè ebbe il tempo di conoscere,  si può inseguire la parola Spirito attraverso meccanismi di perfetta simmetria nel defilè di insiemi infiniti che secondo Mattè Blanco caratterizza l’inconscio.   Tra i tanti significanti  inconsci e metonimici della parola  Spirito , niente ci vieta pertanto di pervenire ad un qualcosa che può ritornare – il revenant! Ecco allora che non ci sono né Napoleone, né Jena , così come non ci saranno in assoluto né uno Stalin o chicchessia, perché lo Spirito può essere “oltre”  la morte….può ritornare ! La distopia attuale  che sembra ineluttabile anche se si prendono ben altri epigoni, ad esempio Guenon o Evola, o anche Mircea Eliade e che si configura oggi come epilogo verso quel Kali Yuga posto dalla cultura indiana come  culmine della decadenza (età di bronzo dei mercanti che scivola verso l’Età del Ferro e quindi dei Servi), può all’improvviso fare ritorno, andare indietro, recuperare  cultura e tradizione e quindi rimettere in moto con altri parametri il processo della Storia. Quali sono questi parametri, non sono in grado di precisare, ma come avvenne ai suoi tempi con Carlo Magno  e il Sacro Romano Impero (IX secolo) con Federico II di Svevia (XIII secolo) come espresso poeticamente e metaforicamente da Dante Alighieri con la sua Divina Commedia  (XIV secolo) e espresso figurativamente attraverso la coralità delle Cattedrali Gotiche o magari pragmaticamente indicata in Istituzioni come la Cavalleria, si può sempre sperare in un ritorno di una età degli Eroi, raffigurati come produzioni dell’inconscio, inconscio che opera simmetricamente  scavalcando le relative classi di appartenenza dell’io e percorrendo un po’ come il famoso integrale sui cammini di Feynman, tutti gli insiemi infiniti della rappresentazione.  Ho indicato nel precedente articolo sul blog Lenardullier,  le esternazioni,letterarie,filosofiche,di immagini, di film di serie tv dell’attuale momento  di distopia ingenerata dalla farsa di un virus inesistente e  arbitrariamente immaginato e gonfiato (Orwell, Huxley, Breadbury, Dick, Matheson) trovandovi una sorta di compendio nella serie dei film di james Bond con il personaggio antitetico del Dr. No della fantomatica Società Spectre
volto appunto al dominio sul mondo, ebbene proprio le numerose facce assegnate a tale disgustoso personaggio (sempre diversa in ognuno dei film di tale serie ) dimostrano che  l’elenco di magnati/mercanti di cui oggi nella realtà se ne annoverano un certo numero (Soros, Rockfeller, Rotschild, Gates, Schwab, Fauci, etc) tendono all’unità, ad un unico solo Dr.No anche se con interpreti sempre diversi nella peculiarità però dell’orrorifico, che forse, bisogna dirlo non è altrettanto orripilante come i protagonisti di questa nostra realta’ del 2021

IL MALE VIEN DAL MARE

  Mi sono sempre chiesto se ci sia qualcosa o qualcuno, che possa essere indicato come il  responsabile e anche all'origine dell'att...