venerdì 5 maggio 2023

FISICA SENZA ECONOMIA

Svincolata dal noioso iter, diciamo cosi’ Newtoniano, la fisica diviene  una materia molto simile alla filosofia ed ecco allora che scatta l' interesse, addirittura la passione  : Heisenberg, Pauli, Schrodinger, Dirac, Bell,  quella nuova definizione “fisica quantistica”, che magari si rifaceva piu’ a Leibniz che a Newton, ovvero la “vis viva” promanante da noi e non da fuori, in-sistente e non ex-sistente, applicata in quel calcolo infinitesimale con proiezioni di numeri negativi, cioe' numeri immaginari rendeva il tutto anche per il passato, infinitesimamente piu’ stimolante. L’effetto della doppia fenditura, l’entenglement, l’effetto farfalla, il principio di indeterminazione su particella e flusso, l’equazione d’onda e il suo collasso e poi dai, quel gatto vivo o morto riferito giustappunto al collasso d’onda: i campioni della nuova fisica Heisenberg, Schrodinger, avevano tutti i crismi per assurgere ai nuovi campioni della conoscenza, assieme a quelli piu’ collaudati della vecchia filosofia da Leibniz a Kant, saltando a pie’ pari l’improponibile Hegel (improponibile per chi come me ritiene la rivoluzione industriale la quintessenza dell’abominio della nostra civilta’ e altresi considera tutta la pratica e il teorico ad essa correlato - illuminismo, rivoluzione americana, rivoluzione francese, massoneria, cosidetta scienza economica e vari pseudo teorici tipo Smith, Ricardo, Say, Malthus, etc. del ciarpame derivato da quell’unica mentalita’ mercantile che io preferisco chiamare bottegaia) Si obiettera’ : ma come tu ritieni la rivoluzione industriale un passo indietro dell’umanita’ e anche la Rivoluzione Francese, il principio dei diritti e della liberta’, dell’eguaglianza dell’uomo un abominio? In realta’ io dico e sono in grado di dimostrare con lo studio, la conoscenza e un po’ di capacita’ di ragionamento, che a proposito de la piu’ famosa delle rivoluzioni, quella francese del 1789, fu solo una farsa, come d’altronde tutte le piu’ strombazzate pandemie della storia, non diversamente che per gli altri pseudo cambiamenti socio/politici passati alla storia come rivoluzioni o anche guerre, mettendoci magari l’epiteto di “indipendenza”, di “successione” , di “secessione”, oppure dandogli un nominativo piu’ colorito, trasferito da qualche oggetto o luogo  del contesto:  “ guerra delle tre rose, guerra del te’, guerra dell’oppio, rivolta dei garofani , rivoluzione d’ottobre , rivoluzione delle camicie nere,  marcia del sale,  primavera di Praga”….e chi piu’ ne ha piu’ ne metta. Massimo comun denominatore di tutti questi sconvolgimenti, la assoluta falsita’ rispetto a quello che dovrebbe essere un raccontato  obiettivo e veritiero sulla storia  e questo non proprio da sempre, ma in ispecie con l’avvento nella storia del mondo dell’eta’ dei mercanti, o bottegai ovvero con il progressivo affermarsi di una classe sociale , la borghesia che pone alla base del suo stesso essere e di ogni possibile giudizio di valore :  il denaro, il mercato, lo scambio.

Ci si potrebbe domandare : ma perche’ prima nell’eta’ dei guerrieri ancora in auge non avveniva lo stesso? Il denaro non aveva questa rilevante importanza? Un Crasso non era l’uomo piu’ ricco di Roma  e per questo aveva accesso alle cariche piu’ prestigiose della Repubblica? E poi la stessa differenza fra patrizi e plebei non era,  tutto sommato, ascrivibile a questioni di censo? … “Cesare il popolo chiede sesterzi” dice una simpatica freddura… “no vado dritto” risponde il condottiero, mostrando così anche  a livello di barzelletta che tutto sommato l’andare diritto, ovvero per una strada che non comporti alcuna deviazione, alcuna sterzata dal cammino del grande interesse dello Stato,  può anche essere contemplata, ma il sesterzio o “se-sterzo” non sara’ mai il cammino principale. Ecco mettiamoci un Feynman ante-ante litteram alle prese con il suo integrale sui cammini e questo tragitto diritto, senza sterzate del piu’ grande degli antichi romani : quale credete che sarebbe stato quello piu’ rispondente alle migliori opportunita’????
In sostanza il denaro diviene sempre piu’ importante con il corso del tempo ma in eta’ dell’argento e quindi dei guerrieri resta sempre in auge  la famosa risposta di di Marco Furio Camillo al “Vai victis” di Brenno : “non auro, sed ferro, reuperanda patria est” ;  così e’ anche nel periodo medioevale, con le Cattedrali, con la Cavalleria, in un Poema come la Divina Commedia di Dante Alighieri, con personaggi come Federico II, ma così non sara’ più con l’Umanesimo impostosi come nuova modalita’ di essere al mondo, grazie alla grande pandemia del 1348 e ad una sensibilita’ fondata su di un egoistico individualismo dove può fare enorme breccia la paura e un codice di rappresentazione della realta’ fondato su di una convenzione riduttiva desunta da un codice non verificabile, come quello di un immaginario classico. 
 Assunto quindi il principio che alla origine di ogni sovvertimento sociale  c’è sempre un potere costituito  e organizzato secondo ferrei dettami di precisi interessi economici, e che il tanto ipocritamente e buonisticamente  strombazzato popolo conta, ed e’ sempre contato meno del due a briscola, torniamo ai nostri interessei di fisica teoretica nell’accezione quantistica  per vedere se siamo in grado di stabilire una sorta di continuum con quelle forze che al potere bottegaio con relativi garzoni si e’ sempre opposto. In eta’ prebottegaia abbiamo figure come gli Imperatori germanici che lottarono sopratutto contro il Papato Federico Barbarossa, Federico II detto lo Stupor mundi,
ma con l’avvento del potere mercantile (i banchieri, i commercianti, l’emergente borghesia) trovata una nazione guida l’Inghilterra e poi strutturatosi in una vera setta la Massoneria, la Rivoluzione Industriale di meta’ del settecento, di cui abbiamo precisato il ruolo di acutizzazione del principio economico, realizzando il connubio con un altro elemento che diverra’ indissolubile al suo spirito : il tecnicismo con l’esaltazione del ruolo della macchina come nuovo paradigma a cui riferire la stessa essenza umana, e’ un qualcosa, non a caso di  primogenitura anglosassone , proprio in quanto altamente rappresentante dello spirito commerciale della emergente classe borghese , che come abbiamo avuto modo di osservare ha una originaria localizzazione nazionale in una specifica nazione l’Inghilterra  che aveva giustappunto scelto il commercio e il denaro come elementi di connubio con la propria tradizione – un qualcosa,  attenzione che nessuna altra nazione, specie in termini di vertice aveva mai operato, facendo oggetto di scambio il  proprio lignaggio aristocratico con non meglio precisati meriti di censo, in relazione al quale si poteva annoverare la spregiudicatezza ma anche vere e propri portamenti banditeschi e criminali. Le opposizioni al galoppante spirito bottegaio vengono unicamente da quei popoli, quelle civilta’ che si rifanno alla tradizione e pongono alla base del loro vivere sociale un certo conservatorismo dello spirito appunto di tale tradizione, venendo tuttavia ampiamente a contatto soprattutto con il tecnicismo dei tempi. E’ il caso dei Grandi Imperi della terra, quello Russo, quello austro ungarico e ultimo quello Germanico dopo l’unita’ sotto la guida prussiana di tutti i regni e ducati tedeschi. Un quarto Impero ma in grande decadenza e’ quello cinese, che tornera’ alla ribalta mondiale solo con l’adesione alla teoria comunista di cui ne elaborera’ una versione di carattere orwelliano . Un ulteriore Impero potrebbe essere annoverato nel Giappone, ma non nel XVIII e XIX secolo;  la sua rilevanza comincera’ ad essere pronunciata  solo con l’inizio del XX secolo, prima nel contrasto con un altro Impero, quello Russo , ma successivamente venendo a trovarsi in rotta di collisione con il piu’ ipocrita degli imperi,  quello statunitense che rifugge da tale epiteto e contrabbanda parole di untuoso buonismo : liberta’, democrazia, ma  è in verita’ l’erede piu’ che legittimo della bottegaia Inghilterra della quale ha fortemente  esasperato i principi,  sviluppando come mai prima si era visto, un consumismo dilagante ed un tecnicismo spersonalizzante, dandosi anche quel lustro teorico che gia’ l’Inghilterra si era accaparrata prezzolando pseudo intellettuali come i gia’ citati Smith, Say, Malthus e compagnia. In tutto questo complesso assunto si ravvede il distinguo tra popoli di terra e popoli di mare  operato dal filosofo geo politico Carl Schmitt  nel lontano 1942 . Liberalismo era stata chiamata alludendo ipocritamente alla liberta’ questa sotto teoria e con la solita mancanza di originalita’ l’america si e’ andata stringendo sotto l’etichetta di “neo Liberalismo.  Comunque sia contro questi Imperi le forze bottegaie , ovvero l’  Inghilterra coadiuvata prima dal suo impero coloniale  ed anche abilmente coinvolgendo nelle sue camarille  altre nazioni europee meno rilevanti come  Francia, Italia, Belgio, Olanda, Serbia, Grecia ed infine passando totalmente il testimone agli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, hanno sempre visceralmente e spasmodicamente combattuto. Si crede ingenuamente che il grande nemico dell’Inghilterra sia stato Napoleone, assolutamente non e’ così Napoleone ha rappresentato solo una forma di esasperazione di un movimento, la Rivoluzione francese, che la Massoneria inglese aveva perfettamente contemplato nei suoi piani di egemonia mondiale, e che proprio l’imprevedibilita’ dell’ascesa al potere di un parvenu,  aveva costretto a correre ai ripari. Sconfitto Napoleone a Waterloo, piu’ pero’ da Radetzski e da Blucher che da Wellington, la palma del potere europeo era stata colta da quel personaggio eccezionale che fu il Principe Metternich e finche ‘ fu operativo lui, l’Inghilterra dovette rinfoderare le sue mire egemoniche europee.
Un periodo alquanto lunghetto perlomeno fino al 1848/49, quando non a caso l’inghilterra tramite i suoi faccendieri, tipo i  Rotschild, prese a fomentare le varie aspirazioni nazionaliste dei popoli  (Sicilia, Lombardo Veneto in Italia,  Ungheria, Boemia ) ed anche a creare discordie e contrasti nello stesso Impero austriaco. Con il 1849 si registrano le ultime vittorie di reazione degli Imperi conservatori e tradizionalisti, ma ecco che appena qualche anno dopo i bottegai tornano alla carica sfruttando la crisi dell’impero turco ottomano (non contemplato nella precedente elencazione per la poca rilevanza del suo impianto) e l’occasione della guerra di Crimea: perfino il risibile regno di Sardegna viene coinvolto nel conflitto fidando sulla compiacenza di uno dei piu’ solerti faccendieri dei Rotschild : quel Camillo Benso di Cavour annoverato tra i padri della patria unitamente ad un esaltato visionario (Mazzini) un brigante arruffapopoli (Garibaldi) ed un re cialtrone tipo Miles gloriosus. La miccia torna a riaccendersi e nel giro di due anni (1859- 1861) l’Inghilterra riesce a sconvolgere in suo favore non poco l’equilibrio europeo. Crea difatti  una nuova nazione sua vassalla (l’Italia) indebolisce sensibilmente l’Impero Asburgico che fa scrociare con la Francia, indebolendo anche quest’ultima (Solferino) , ratifica e afferma la sua influenza in Sicilia anche in virtù di profique iniziative commerciali (i famosi principi sotto il vulcano Ingham, Woodhouse, Whitaker),  propizia di li’ a poco uno scontro fratricida tra Austria e Prussia, non puo’ impedire pero’ l’affermazione della Prussia  nello scontro contro la Francia (1870). Tornera’ all’assalto nel 1914  favorendo una guerra fratricida dell’Europa e anzi riuscendo a coinvolgere gli Stati Uniti e ingenerare la Prima Guerra Mondiale che fara’ piazza pulita degli Imperi del territori europei . Come spesso avviene nella legge del mondo, il paradosso si insinua nei suoi anfratti e difatti il trionfo verso i Paesi Europei deve passare il testimone agli
USA che diventano i nuovi iper bottegai del mondo e l’Inghilterra passa da padrone a garzone  in una dialettica che un filosofo tedesco aveva dato per scontato (fenomenologia dello spirito di Hegel) e che un altro tedesco Karl Marx ha cercato di tradurre in termini prettamente economici (non a caso sotto parcella di un industriale con spiccati interessi in Inghilterra  Friederic Engels)

UN PO' PIU' IN LA'

Non sempre le credenze stanno in cucina  Ah no!? e dove?... bhe! anche un po' piu' in la', in salotto, in ingresso, su di un terrazzo, persino nel bagno. Tu parli di credenze antiche, quelle della nostra infanzia, dove si andava a rubare la marmellata!? Credenze antiche, antiche credenze, fai un pò tu; una cosa è certa, c’era di tutto in credenza, ci trovavi di tutto, marmellata, biscotti, cioccolata, anche quella colle nocciole, il barattolo della Nutella, ma non solo dolce, anche salato, rustico: scatolette di tonno, di sardine, cetrioli sotto aceto, buatte di pomodoro e anche estratto, pane in cassetta e bottiglie di olio che venivano da una regione dove l’olio è eccezionale. A proposito di questa regione , ecco mi ricordo proprio di un paesetto di un suggestivissimo scorcio con tanto di monticiattolo e pineta sulla sommità del monte, dove la sera avevano messo gli altoparlanti collegati con un giradischi e si ballava in una estatica atmosfera, propiziata dallo scenario, ma anche da un paio di ragazzette davvero super

“uh! ma guarda ti chiami come un fiore, che è anche il nome della più bella novella di Hermann Hesse!” Certo ne è passato di tempo, ma poi non tanto, se il cantante di cui proprio in quel momento attaccava la canzone “accoccolati ad ascoltare il mare….” ce lo ritroviamo ancora oggi, d’accordo un pò mummificato, a presentare il festival di Sanremo. Atmosfera estatica, trasognata, a ballare con la ragazzetta tra i pini che svettavano su nel cielo, con una grande luna piena, irrealmente luminoso, quasi fosforescente screziato da allungate ombre nere. Magnifico no? bhe si, ma….c’era un ma, ed era occasione di grande sfottò dei miei amici, che seminascosti dietro una siepe, continuavano a pigiare sul pulsante di quella dannata Nikon F col Photomic, in cui ogni scatto, rumorosissimo, un vero e proprio “kataclang” era una specie di colpo per il mio blasone di Casanova. “proprio un bel Casanova il nostro amico”, riferivano al nuovo arrivato “ma lo sai della sua ultima conquista? ce l’hai presente quel film con Manfredi e Mario Carotenuto che si beve l’acido muriatico?” “si certo un film di un paio d’anni Girolimoni il mostro di Roma!”
“ecco appunto altro che Casanova, lo abbiamo soprannominato Girolimoni, la sua ultima conquista ha, si e no tredici anni”” che stronzi che siete” ero intervenuto piccato “ tra l’altro se l’aveste visto bene quel film, sapreste che Girolimoni era del tutto innocente, il nome è rimasto nell’immaginario popolare come sinonimo di mostro, semplicemente perchè il fascismo non voleva ammettere di aver preso una cantonata e quindi vietò alla stampa di dar rilievo alla sua scarcerazione e alla sua conclamata estraneità ai terribili fatti dell’uccisione e violenza di ragazzine, tra l’altro molto ma molto più piccole di tredici anni, bambine di due tre anni, i tredici anni di cui voi tanto ironizzate sono quelli delle fotografie di David Hamilton, ecco andate a vedervi il film Bilitis, oppure ispiratevi al Proust de “all’ombra delle fanciulle in fiore”
“si ha ragione “ confermò il nuovo arrivato “quel nome è rimasto erroneamente come epiteto di mostro anche perchè quel coglione di Mussolini, quando gli fu riportato il nome disse perentoriamente “e’ lui! di sicuro è lui! anche questo suo nome “giro - limoni” da’ subito l’idea di contorto, di perverso” ; bhe! meno male che era venuto Marco, colla sua intelligenza e anche cultura, forse si sarebbe un pò arginata la montante campagna di sfottuta di quegli amici di Rieti e difatti aveva fatto subito di più “ma poi scusate chi dite quella ragazzina mora, coi capelli lunghi, piccolina si, ma davvero stupenda???””eh si proprio lei!”Bhe!? ma l’avete visto il fratello?” Ecco ora “annamo proprio bene...” e chi glielo levava più dalla mente a quei ragazzi di Rieti, quasi tutti un pò fascistelli, che tutti i romani non sono solo maniaci e pedofili, ma anche froci!
Credenze sempre credenze che come detto, specie quelle più antiche, non stanno solo in cucina, ma a volte altrove, persino fuori di casa, in un terrazzo o anche in un cortile, così quella credenza in quel paesino di mezza montagna, dove, ancora lei, veniva a prendere, patate, fagioli in scatola e pur essendo tutt’altro che biondina, l’insalata alla ricciolina. Caldo pomeriggio d’estate, atmosfera pesante e umida, tipo quella di un film di
più di 10 anni dopo con Elena Sofia Ricci, laddove però la credenza era posta si in cucina, ma una cucina posta in una veranda che si apriva in una sorta di orto . Galeotto non fu il libro, ma piuttosto quella irreale circostanza di quasi assoluto silenzio dove l’unica cosa che da lontano si udiva, era la voce del telecronista della partita di pallone dei campionati del mondo in Germania; si d’accordo l’Italia era stata malamente eliminata e c’era stata anche quella incriminata scena del giocatore Chinaglia che stizzito aveva lasciato il campo rifiutando di stringere la mano al compagno che lo stava sostituendo, ma tutti erano inchiodati davanti allo schermo, avendo traslato il tifo sulle squadre dell’Olanda e della Germania, per vedere chi dei due rispettivi osannati campioni Crujff o Beckenbauer, l’avrebbe avuta vinta. Tutti, ma non io, che del calcio non me ne è mai fregato alcunchè, io e la ragazzetta che giustappunto armeggiava nella credenza. il ricordo l’ho amalgamato ad un film di 16 anni dopo, per via di una identità di atmosfera, il caldo, il vestitino a fiorellini appiccicato alla carne per il sudore, i peli non tagliati delle ascelle, l’odore, i piedi nudi e quei lunghi capelli, e anche di situazione dove vicino alla credenza là nella veranda a ridosso dell’orto, era posizionato un ruvido tavolo in legno.
“Ha vinto la Germania!””Ah si!?” bhe non era il caso di sbandierarlo così ai quattro venti “ma tu, non puoi neppure immaginare quanto me ne possa fregare di meno!” la credenza, quella che davvero contava, si era amalgamata col tavolo, sparse le patate, i fagioli e l’insalata alla ricciolina e confusa, forse anche perduta, ma ecco lo vedi, anche ricordata all’infinito, nei suoi profondissimi occhi neri.

C’è ovviamente il “però”, quello postulato da una certa Scuola in America, che ha un nome che è tutto un programma, anzi una programmazione, anche questa roba di qualche anno dopo (e’ proprio vero l’Es se ne sbatte del tempo) , che concorre alla ri-assunzione e con il quale c’è sempre da fare i conti “nulla è mai successo davvero!” e io ci aggiungerei anche il “....proprio così”. sicchè è piuttosto scontato “le credenze a volte non stanno in cucina” ….. stanno appena più in là

LA CONNESSIONE RUBATA TRA CUORE E CERVELLO

Chioso un tantino un intervento dell'amica Simona Cella esperta delle 5 Leggi Biologiche di Hamer che parla della correlazione tra cuore ed agmidala nella composizione dellla piu' infame delle emozioni : La paura.  La paura è quell’emozione che si originariamente e proficuamente  si attiva di fronte ad un pericolo reale… è una emozione di stato  di  “all’erta” L’all’erta ci fa alzare il naso per annusare l’aria e sentire cosa si stia preparando: ci fa cogliere tantissimi dati sensoriali in frazioni di secondo per agire all’istante. Il livello che riguarda la sopravvivenza biologica viene gestita dall’Amigdala, centro del sistema limbico: è uno dei processori principali del nostro “sistema operativo”. Se l’Amigdala fosse libera di rispondere ad un pericolo in modo istintivo e spontaneo, svolgerebbe perfettamente bene la sua funzione biologica: salvare vite. Come mai allora la maggior parte delle volte reagiamo allo stimolo della paura in modo convulso e disordinato? Pensa a cosa ti accade quando hai paura: all’improvviso sei nel buio, cieco e svuotato da ogni forza, vorresti sparire, saltare in un’altra realtà, chiudere la porta sulla tua vita e buttar via la chiave.… Sei una preda tremante. Ogni risorsa cognitiva e capacità decisionale sembra definitivamente spenta. Cosa è successo che non rende più abile l’Amigdala a svolgere bene il suo lavoro? Cosa fa sì che diventi preda della paura mentre a tutti gli effetti, l’Amigdala dovrebbe permetterti di reagire proprio per non essere una preda? Solitudine, malattia, inadeguatezza, futuro, perdita, separazione, abbandono, isolamento… tutto oggi è permeato di paura. Per molti esplosa in questo momento così folle -ma coltivata negli anni- che sembra non finire più.Bruciata ogni certezza, ogni speranza, caduto ogni velo, emerge una realtà così agghiacciante che l’idea dell’esistenza di un virus diventa per molti un’ancora di salvezza. Ti stanno “chiedendo” di sacrificare tutto in nome di una “nuova normalità” che di normale non ha nulla. Per sentirti libero di rimanere schiavo, devi rinunciare a tutto ciò in cui credi, al lavoro, agli affetti, a progetti e sogni. La paura s’insinua spingendo molti a violare il loro stesso corpo pur sapendo quanto sia alto il prezzo da pagare… La paura accompagna costantemente anche i più centrati in “modalità aereo”: invisibile e costante, come una melma spalmata sull’asfalto, sta rallentando ogni possibile passo evolutivo. Non basta agire con coraggio, occorre agire con cor-aggio o l’amigdala non è più in grado di salvare vite…COSA FARE?  Ridare all’Amigdala dignità e posizione, de-ipnotizzarla in modo che possa ritrovare la sua statura.ora proprio ieri leggevo un libro sull’inconscio rimosso che giustappunto sarebbe sede dell’agmidala, e’ là proprio là che risiede una memoria mai cancellata dall’inconscio ma assolutamente impenetrabile alla coscienza che ci fa provare quelle emozioni primordiali senza averne la benché minima idea del perchè l’Amigdala e il Cuore sono i due processatori più importanti del nostro sistema. L’Amigdala si occupa della nostra sopravvivenza biologica. La funzione del Cuore, è gestire scelte a favore della qualità della nostra vita. Il Cuore è il primo organo che si forma a livello fetale con già in essere 40.000 neuroni e una fittissima rete di neurotrasmettitori, cioè informazioni, che mette a nostro servizio. E’ elettromagnetico perciò quantico, così come lo è l’amigdala, che funge un po’ da “doppia fenditura” nel passaggio delle particelle  o flussi .Amigdala e Cuore sono strettamente connessi poiché anche se il Cuore è il processore primario, quando siamo in pericolo di vita o supponiamo di esserlo, cede il comando all’Amigdala: Circuiti neurologici che ci portano le informazioni dal Cuore si “ritirano” per non interferire. Immagina il cuore che fa un passo indietro e lascia pieno campo d’azione all’Amigdala: se stai cadendo dalle scale è sensato che il tuo corpo si attivi all’istante per salvarti la vita.ùMa il Cuore, pur facendo quel passo indietro, c’è sempre. E’ lui che ferma la tua fuga per trascinare in salvo il tuo compagno ferito o il bambino smarrito.Gesti che ultimamente sono sempre più rari…Non so se hai anche tu la stessa percezione ma sembra che la gente non sia più in contatto con il suo cuore né sia più in grado di distinguere e di fare scelte che siano a favore della vita. "Forse morirò o resterò ferito grave, ma se non mi pungo e perdo il lavoro, chi penserà ai miei figli?” … Nessun senso bio-logico in questo pensiero e nessuna connessione col cuore…

COSA E’ SUCCESSO? E' UNA  CONNESSIONE RUBATA

Ci hanno tenuto per anni in costante allarme, in un clima di eterno terrore, ben studiato a tavolino, nella paura di tutto: malattia, povertà, clima, cibo, inquinamento, relazione, il diverso, terrorismo, crollo economico, problemi di sopravvivenza…Osserva quanti temi ti hanno e ti stanno attraversando trattenendoti dal vivere.

Siamo stati separati mettendoci in competizione l’un con l’altro, per farci sentire soli.
Ci hanno tolto autonomia: tutto è stato convertito in imprese multinazionali. L’abilità di costruire e di produrre cibo, la gestione della nostra salute e del sociale, la formazione delle generazioni future.

Ogni aspetto della nostra vita è stato delegato a qualcosa fuori da noi, impenetrabile, ricattatorio, che ci ha tolto ogni possibilità di scelta. Come ti fa sentire questa riflessione? PREDA!

Esattamente l’effetto voluto e ottenuto grazie ad un allarme reiterato giorno dopo giorno: il cuore costantemente un passo indietro, lascia le redini all’amigdala. Effetto? Il Cuore restando continuamente un passo indietro, ha perso molti dei circuiti di connessione con l’Amigdala che si sono spenti, bruciati.L’amigdala sovreccitata, non è più in grado di distinguere il pericolo vero dal falso, va in panico e congelamento anche quando non sarebbe necessario. Non riesce più a salvaguardare la vita.

CHE FARE?
La soluzione richiede lavoro e presenza ma non è complicata come sembrerebbe date le premesse. Occorre ridare ai due processori la loro posizione. Riconoscerli nelle loro piene funzioni.

Immagina la tua Amigdala, che si sente finalmente vista e riconosciuta da te, che può dire a voce alta: “non sono qui per farti scappare o aggredire, il mio compito è di salvaguardare la vita!”
Immagina quanto grande e forte e pura è nel ritrovare la sua posizione.

Immagina il Cuore che si rende conto dell’inganno e che si riconnette all’Amigdala aiutandola a distinguere il vero dal falso: può restare in co-presenza, pronto ad intervenire per scelte sensate che siano nel flusso della vita.

E infine immagina che anche la Mente si unisca a loro e che, incontrandoli nella loro corretta posizione, ritrovi anch’essa la sua statura: non più servitrice di due padroni incoerenti e assenti, ritrova lucidità.
Non deve più farsi carico di scelte che non le competono e che non ha la la forza di sostenere.

Entrambi i processori, Cuore e Amigdala, emettono ora flussi di informazioni tra loro coerenti
poichè direzionati entrambi verso lo stesso obiettivo: salvaguardare e rendere benefica la vita. Così finalmente la Mente può organizzare e coordinare mappe d’azione funzionali, tornando ad essere uno strumento utile.
 Ritroviamo la via verso ciò che siamo e ciò che vogliamo che sia e questo mondo così folle ritroverà anch’esso la sua via verso la vita.

E sta già accadendo nelle piazze, nel porto di Trieste, nelle modalità scelte, nelle parole dette:
L’aria che si respira è una resistenza dove Amigdala e Cuore e Mente si stanno tenendo per mano e, nonostante tutte le allucinanti aggressioni, nessuna delle tre retrocede di un passo.  Cuore ed agmidala lo accennava Simona,  sono due sistemi che impongono dei salti, salti quantici che  il ricorso programmato alla paura e alla menzogna hanno depotenziato. Innanzi tutto dobbiamo riprendere l’abitudine a  riaffermare i processi di interferenza con il nostro ambiente, rimetterci alle prese con fenditure e doppie fenditure e cercare di passare , passare stabilendo sempre nuovi cammini, proprio come suggerisce Richard Feynman nel suo famoso “integrale”, ricordando che se c’è il cammino che si rifà inconsciamente a quell’inconscio rimosso che è sempre gestito dall’agmidala, il cuore   che è un sistema più complesso e variegato e’ pur sempre in grado di… se non riconoscerlo, perlomeno ipotizzarlo  “far finta che….” Ecco dovremmo cominciare a ipotizzare di non aver piu’ paura, di non lasciarci soggiogare dalla paura che è un’altra di quelle emozioni che l’agmidala gestisce (purtroppo come tutto ciò che governa l’inconscio sia rimosso che non rimosso, porta indifferentemente al bene che al male: lo vedi allora l’importanza di un integrale come quello sui cammini di Feynman :
se uno dei cammini  non esce dalla stanza di casa mia, un altro può percorrere all’istante tutta la galassia di Andromeda

Cosa serve per assecondare in tal modo un simile integrale? Serve che il sintomo (sun-thomos accadere insieme di fenomeno e organo corporeo) si trasformi in Simbolo (sum-ballo = rimettere insieme dell’evento con il flusso della vita) accettandone tutte le implicazioni , anche quelle che si rifanno alla ragione, alla cultura, alla tradizione, al discernimento  ed è solo in tal senso che la coscienza quel tanto problematico “io penso” possa trasformarsi in un Sé  onnicomprensivo di io e d es, cioè di conscio e inconscio e riesca nel discernimento a ricacciare la paura e a rifarsi al coraggio. Eh si, proprio come recentemente, proprio qui da noi in Italia, a Trieste è stato detto e fatto e come solo pochissimi in tutta la storia della nostra  storia hanno perseguito e possono essere presi a modello  di cammino : ricacciare tutte le menzogne che risalgono al dualismo del “concetto”platonico  quell’esiziale “uno che sta per molti” propendere per l’enantiadromia di Eraclito e su per gli insegnamenti di Krisna al guerriero Arjuna nel Bagwadad Gita, riappropriarci di quell’Età dell’Oro di cui fa cenno Esiodo, magari attivando connessioni con diversoe modalità di funzionamento degli emisferi cerebrali ( Julian Jaynes : il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza) quindi riappropriarci della coralità medioevale delle Cattedrali ( Da Fulcanelli e Il mistero delle cattedrali a il Le Corbusier di
 Quand les Cathedrales etaient blanches) :  ripensare la “reductio “ umanista e rinascimentale  su di un codice indefinito da applicare come pellicola all’ambiente diversificato, che tende inevitabilmente al neo classicismo, così come indicato da una prassi mercantile e bottegaia (età del bronzo e del ferro – Kali Yuga), rigettare con forza gli  schematismi della dialettica Hegeliana  e del suo ulteriore svilimento nelle due facce della stessa medaglia : liberismo e comunismo. Schopenauer , Nietzsche, Freud  che dà finalmente il giusto valore all’inconscio, debbono diventare il costante riferimento uniti a quei pochissimi che hanno dato valore a tali principi : Guenon, Evola, Mircea Eliade, Kuhn, quasi tutti i protagonisti della rivoluzione relativista e quantistica della fisica (Einstein, Bohr, Heisenberg, De Broglie, Dirac, Schrodinger, Feynman, etc.)
Detto in altri termini bisogna con urgenza riprendere a dire la verità, solo la verità, e  rigettare tutti i giochi
delle parti che specie dalla rivoluzione industriale di metà settecento, i mercanti bottegai uniti in squallide corporazioni, hanno continuato a propinare al grosso dell’umanità, ammettendo che finora ci sono riusciti in maniera esemplare - dal cio’ che è reale è razionale, ad un vile opportunista e mediocre stratega come Napoleone fatto passare per genio militare, a idee come il Marxismo spacciata  per una ideologia di bene comune, ad un progresso tecnologico che ha incatenato l’uomo alle catene della tecnica (età del ferro, proprio il ferro di cui sono fatte le catene,  rinnovando il mito di Prometeo avvinto alla roccia del Caucaso).    Riprendere a dire la verita' assume piu' che mai oggi il senso di un saggio di uno dei piu' grandi filosofi della storia umana, Julius Evola ed in particolare quel titolo programmatico denso di un diverso futuro, un futuro complesso secondo modalita' anteriori, che si  riappropri anche di quella connessione rubata e riporti la paura alle sue precipue  funzioni  tra cuore e cervello 

 

lunedì 1 maggio 2023

CALCOLO INFINITESIMALE SU NAPOLEONE

Voglio occuparmi di una certa di smania che fa da correlato nel genere umano specie da quando il suo baricentro si è spostato dall'interno di sé stesso  ad un qualcosa di esterno:  la macchina il prodotto della cosiddetta rivoluzione industriale ;  e’ un smania che fa da contrappasso alla ripetitività, alla routine, cui lo spostamento di indice referenziale appunto dall'interno all'esterno di sé, in una protesi di tutte le sue capacità , della sua stessa essenza,  spinge l’umanità, da una parte con impazienza, ma dall'altra con riluttanza, a uscire dal momento presente, per andare a cercare qualcos'altro in un altro tempo,  in un altro spazio, appartenente non più alla realtà, ma all'immaginazione; non è un tempo presente, ma non è neppure un tempo passato, ne’ tanto meno un tempo futuro in una semplice modalità desiderante: è un altro tempo, non semplice, ma composto e molto più complesso, un tempo che può trovare applicazione in un mondo matematico di perlomeno cent’anni antecedente alla Rivoluzione Industriale, che due grandi studiosi avocarono a loro ideazione  Leibniz e Newton : il calcolo infinitesimale!  Di cosa si occupa il calcolo infinitesimale di tanto importante e di  tanto inerente ai tempi che verranno fino ad essere ancor oggi uno dei calcoli più largamente impiegati per addivenire a risultati della massima utilità non solo teorica, ma anche pratica?.... di  andare a definire quel particolare “punto/momento/emozione” in cui uno stato si trasforma in flusso, un cambiamento che compatibilmente al suo far parte di tutto l’insieme dei numeri complessi, ne comporta anche l’impiego del sottoinsieme dei numeri immaginari, ovvero proiezioni di numeri negativi. Lo spazio/tempo e flusso, farsi cioè quel “sarà stato “ che rappresenta una modalità trascorsa e nel contempo “ri-assunta”, per dar luogo ad un avvenire, che fa leva sugli immaginari, tutti gli immaginari possibili, dove la realtà si piega alla fantasia e anche alla manipolazione, abbisognando non solo del calcolo infinitesimale e di tutto l’insieme dei numeri complessi, ma altresì della capacità di persuasione della nuova grande arma della Rivoluzione Industriale : la stampa, i mezzi di informazione, tutto quello che più tardi verrà denominato “Mass media” Mi sono gia' occupato di un saggio di uno storico italiano Guglielmo Ferrero, che assume un che di inquietante nella correlazione con quanto sta accadendo oggi, nel postmodernismo di una concezione globalista che fa ricorso massicciamente a strumenti di manipolazione e mistificazione della realta' quotidiana. Per carita' il saggio in oggetto che si chiama "Avventura" di questo misconosciuto autore non parla ne' di pandemia gonfiata addirittura inventata, ne' di siffatti strumenti di manipolazione, non nomina neppure il calcolo infinitesimale, né le derivate complesse che impiegano anche numeri immaginari, ovvero proiezioni di negativi -1, -2, -3, .... -n, con i quali si intende quella mancanza, debito, carenza , etc, che proprio grazie alla proiezione assolve ad una funzione di compensazione più che verosimile, parla di un episodio o meglio di una serie di episodi quale puo' essere una campagna militare, che immette quella certa smania di cambiare, di modificare il contesto, non importa con quali mezzi o espedienti, senza dubbio in primis quello di non tenere quasi nessun conto della realta'. Ferrero parla di Napoleone Buonaparte colto proprio agli inizi della sua straordinaria fortuna storica, giovane e spiantato Generale di neppure ventisette anni, con pero' un grande asso nella manica . la protezione che da un bel po' di tempo gli riservava di uno dei personaggi piu' controversi della Rivoluzione Francese quel Paul Barras che era stato il principale accusatore di Robespierre, nonche' l'artefice della sua caduta. Protezione che era divenuta molto piu' influente con il salire di importanza politica di Barras in seno al Direttorio, l'organo che di di fatto era divenuto il piu' importante del Paese e della Rivoluzione, e sopratutto con il diventare il giovane squattrinato Generale accompagnatore fisso di una delle amanti di Barras, quella piu' ingombrante e petulante Josephine De Beauharnais una creola moglie di un Generale che era stato ghigliottinato, la cui laison tra i due era stata intesa dal potente politico come una vera provvidenziale liberazione. Nell'occuparsi di tale fatto come sorta di "principio" di un qualcosa di veramente epocale, ma anche di "costruito" per molti versi " inventato", Ferrero, lo abbiamo detto non nomina il calcolo infinitesimale, così come non nomina la fondamentale differenza tra Leibniz e Newton proprio su tale calcolo infinitesimale, laddove per il primo i fenomeni e la stessa essenza umana erano ascrivibili ad una una sorta di “forza viva” (vis viva) che ha più a che fare con la reazione e in qualche modo il tentativo di padroneggiare il cambiamento epocale dell’introduzione della macchina, da parte dell’uomo e ingenererà quella reazione alla massificazione rappresentata dall'Illuminismo, mentre il secondo, che era più fisico e meno filosofo, tendeva a stabilire relazioni di grandezza e velocità tra uno o più punti, che lui chiamava flussioni, e dal cui calcolo, di tali “flussioni” che poi vennero chiamate “derivate” si può prendere l’antefatto della piena riuscita di quel cambiamento di soggetto referenziale di essenza del mondo, che la Rivoluzione Industriale realizzerà tra uomo e macchina. Si tratta a ben vedere per entrambi di maneggiare un infinito potenziale, ma per ognuno dei due ecco che si prestava a individuare un potenziale infinito interno o un potenziale infinito esterno, ognuno con una sua particolare inclinazione e che in correlazione coi grossi cambiamenti che la Rivoluzione Industriale stava ingenerando, produrrà immediatamente degli effetti di significazione : da una parte quella di Liebniz, che è come si è
fatto cenno, può ascriversi tutto il movimento filosofico dell’Illuminismo (il secolo dei lumi) dall'altra quella di Newton che rappresenta invece quel meccanicismo che riuscirà compiutamente a trasferire l’indice di riferimento generale di essere al mondo dall'uomo alla macchina, ovvero dall'interno di sé, all'esterno di se’ Ora come è noto, la storia scientifica ha deciso a favore del secondo , superando con relativa facilità la stimolante idea dell’Illuminismo, eppure intorno all'inizio del XX secolo cioè più di trecento anni dopo, la teoria della relatività di Einstein afferma che in ogni oggetto materiale c'è una energia intrinseca che dipende dalla sua massa e dal quadrato della velocità della luce, la celeberrima formula
E = mc2. - sembrerebbe quindi che Leibniz abbia intuito e prefigurato la teoria della relatività , con la sua "vis viva" alla quale aveva dato un indice mv2, ovvero massa per il quadrato della velocità identificandola appunto come energia vitale comune a tutti i corpi materiali e spirituali ; e non è solo Einstein che Leibniz con questa sua intuizione di forza univoca di spirito e materia, appunto questa vis viva, ha anticipato, ma tutte le formulazione della Fisica Quantistica, da Maxwell a Bohr a Heisenberg , Scrhodinger , Bell, Dirac , Feynman etc. introducendo quindi nella fisica teoretica un qualcosa che mai e poi mai sarebbe stato concepibile con Newton, ovvero che la psiche umana, non solo la coscienza ma anche un inconscio, si proprio quello scoperto per indizi di significazione da Freud, abbiano una parte fondamentale nella comprensione delle problematiche relative all'osservazione dei fenomeni quantistici stabilendo una interazione tra chi osserva e ciò che viene osservato. Qual è la tesi del presente scritto, dedotta dal saggio di Guglielmo Ferrero ? Che gli storici, o meglio i cronachisti francesi di quel biennio 1796/97 su direzione del membro piu' importante del Direttorio ovvero Paul Barras abbiano di proposito utilizzato il calcolo infinitesimale di Leibniz, con tanto di derivate costituite da numeri immaginari (nel senso di proiezioni di numeri negativi ) integrando quella leibniziana “Vis viva” con il generico “spirito di avventura” che Ferrero poneva a generico e irrazionale motore del movimento e cambiamento dei concreti eventi e fatti reali. Quasi casualmente o perlomeno sul concorso di varie circostanze fortuite, questo tipo di calcolo tra il reale e l’immaginario, si sarebbe andato appuntando su di un singolo personaggio, neppure troppo dissimile da altri: un giovane generale, quando la giovane età era più una norma che un’eccezione tra i quadri militari venuti  a formarsi con la rivoluzione, con al suo attivo un’efficace operazione di polizia (la repressione di una insurrezione realista alla Chiesa di san Rocco), e la fama di essere abbastanza esperto di movimenti di artiglieria (4 anni prima nella presa di Tolone e del forte dell’Eguilette), ma sopratutto la riconoscenza di uno dei più influenti membri del Direttorio Paul Barras del quale addirittura sposandone la ingombrante amante Josephine De Beauharnais gli aveva tolto una enorme preoccupazione e ne aveva avuto, da questi proprio il giorno del matrimonio 2 marzo 1796, un eccezionale regalo di nozze: il comando dell’Armée d’Italie. Ora francamente non ce li vedo i compilatori delle cronache nelle vesti di “piccoli Leibniz”, ma il punto è che determinate scoperte finiscono per entrare nelle menti delle persone, così del tutto impercettibilmente, e anche i più astrusi ragionamenti matematici finiscono per entrare a far parte delle sensibilità delle genti; così quella generica sostituzione di paradigma referenziale tra l’uomo e la macchina che aveva già prodotto la reazione intellettuale dell’illuminismo e quella della violenza sanguinaria della rivoluzione francese, andava sempre più abbisognando di una razionalizzazione che chiedeva urgentemente un salto di fantasia, non più per un intero collettivo ma per un singolo che potesse rappresentare l’esigenza di novità forzando i dettami di una realtà che abbisognava che si conformasse a parametri di eccezionalità, di quasi totale contrasto tra reale e immaginario. Proprio come una macchina, i cui pezzi si possono cambiare, sostituire, riassemblare , anche l’uomo, questo Homo novus non più rappresentante della sua essenza ma con di volta in volta espropriato a favore di una sua continua riproposizione  deve conformarsi alle stesse esigenze ed è parimenti importantissimo, anzi fondamentale che tali peculiarità vengano rese ben evidenti, palesate continuamente, ostentate: nasce dall'immaginario, la pubblicità dell’uomo e della sua azione, del tutto simile a quella di un qualsiasi altro prodotto. L’uomo diventa equiparabile non solo ad una macchina, ma anche ad una merce. Tutto si costruisce, tutto si cambia, tutto si vende e tutto si compra . Napoleone Bonaparte è in tal senso una sorta di prototipo: le sue peculiarità sono da manuale: piuttosto oscuro, venuto dal nulla, poca distinzione, persino un fisico non aitante, di bassa statura, e caratterialità introversa, ombrosa;  di converso però una fortissima  disponibilità al compromesso, ambizione sfrenata, pochi scrupoli, nessuna preoccupazione del futuro, ma tutto orientato al successo immediato, ecco la quintessenza di quel che serviva in tempi come quello di post rivoluzione per porre una fine costruita, diremmo oggi virtuale e non reale,  ad un qualcosa che deve essere ricondotta nei dettami della normale quotidianità. Nasce la pubblicità e nasce altresì la spettacolarizzazione di un evento che l’uomo deve interpretare come un attore interpreta una parte, ed ecco difatti che con la Rivoluzione industriale cominciano a delinearsi oltre questa figura, diciamo così incanalante, anche tutta una serie di altre figure che lo sostengano : scrittori, giornalisti, biografi, estimatori, ma anche oppositori e critici, e vere e proprie entità, che diverranno  i cosidetti mass media. Benvenuti quindi  nella nostra era moderna e benvenuti anche in quest’era contemporanea che però con l’esasperazione di alcuni suoi meccanismi ha portato al parossismo il meccanismo del calcolo infinitesimale di Liebniz , dove non possiamo più parlare di “vis viva” ma di totale controllo da parte delle  classi dominanti  e quindi un reiterato attacco alla Libertà individuale, attacco che avrà di volta in volta le peculiarità di maggiore controllo delle masse attraverso  il meccanismo  della falsificazione e della mistificazione e vieppiù quello di un continuo stato di paura, cui la stragrande maggioranza delle masse va mantenuta : paura che un tempo poteva essere mantenuta con un impianto di punizione divina, ma che ora abbisogna di un qualcosa di più riscontrabile anche se con i medesimi meccanismi di astrazione e di in-definizione : uno stato di salute continuamente compromesso dall'emergere di quel fantasma della malattia e del contagio, cui solo l’affidamento ad un qualcuno che si avoca la responsabilità di gestirlo ne potrà assicurare la cura e la guarigione Ne sono manifestazioni : l’eccessivo scollo tra realtà e immaginazione, un consumismo sfrenato con mercimonio dilagante, personaggi sempre più mediocri che cercano di avocarsi le caratteristiche che un tempo erano peculiarità di uno solo o pochissimi, democratizzazione delle derivate immaginarie, tentativi di superamento del confine tra reale e immaginario con fini di asservimento della maggioranza della popolazione ai dettami di pochissimi, come stiamo in questo preciso momento subendo e i cui tratti ispiratori non riposano nella realtà, ma nella letteratura fantascientifica di tipo apocalittico alla Orwell, alla Huxley, alla Breadbury. Sul principio del “recitare una parte” è  importante realizzare la ricostruzione tutta virtuale di un personaggio fuori le righe, costruito a bella posta con tratti  quasi sovrumani,  ma opportunamente scelto  dalla compagine meno rappresentativa della Società, sicché ognuno nel suo uniformarsi a questi ne avrà per così dire quasi un ritorno in termini di possibilità : una democratizzazione  dell’eccezione : i 5 minuti di celebrità di cui tutti secondo Andy Wharol hanno diritto, in questa nostra era di ipercapitalismo di sfrenato  consumismo, dove all'era delle macchine è subentrata l’era delle apparecchiature informatiche e cibernetiche;  non più il braccio, le mani,  il corpo, la fatica fisica, ma lo stesso pensiero umano, la mente, divengono l’oggetto dell’espropriazione. L’operazione  ha una origine, una prima volta e seguiamo lo storico Guglielmo Ferrero  che ci fa appropinquare a quel marzo 1796 in cui il Generale Napoleone Bonaparte con quel po’ po’ di regalo di nozze  del comando dell’Armata di Italia  giunge  alla tenda del comando  a Nizza , ricevuto dai tre generali che fino a quel momento si erano divisi il comando delle operazioni , tre generali di molta più esperienza della sua : il savoiardo André Massena 43 anni ex sottufficiale dell’esercito savoiardo , alto aitante, volitivo, salito velocemente di ruolo e di grado con a rivoluzione e all'attivo parecchi fatti d’arme che lo gratificavano già allora dell’epiteto di “Invincible”,  il Gen Charles Pierre Augereaux 39 anni di Parigi nato nella popolare strada di rue Mouffetard ex soldato ed ex disertore per aver ucciso in duello un ufficiale, soldato di ventura di vari Regni, tra cui anche quello dei Borboni napoletani,  era ritornato a Parigi durante a Rivoluzione e si era arruolato come Sergente nella Guardia Nazionale per poi salire velocemente i gradi di ufficiale dell’esercito nella repressione della rivolta della Vandea e venir nominato Generale a 36 anni, il Gen. Jean Mathieu Philibert Serurier  54 anni , l’unico proveniente da una regolare carriera militare di ufficiale,  essendo di  provenienza dalla piccola nobiltà:  aveva partecipato alla guerra dei 7 anni e a campagne in Hannover e Portogallo, oltre ad aver preso parte ad operazioni contro Pasquale Poli in Corsica , l’idolo di gioventù di Napoleone; all'inizio della Rivoluzione aveva il grado di Maggiore e nel ‘93 veniva promosso Generale . Tutti e tre come si vede, avevano molti più titoli ed esperienza  del giovane Generale Corso e difatti lo avevano accolto non propriamente con rispetto, voltandogli  sprezzantemente le spalle,  o perlomeno questo è quel che è passato alla storia e che  viene riportato in un film che per molti versi rappresenta una specie di inverazione filmica del processo di creazione del personaggio:  NAPOLEON. 
In tale film difatti molte delle scene paradigmatiche che avevano costruito il mito del generale Nessuno divenuto il generale Meraviglia, sono riportate fedelmente; fedelmente si, ma non alla realtà, bensì a quell'immaginario con il quale si sarebbe dato inizio al mito, non ultima questa scena  appunto dell’ingresso del giovane generale nella tenda comando  con i tre sopracitati generali ripresi appunto di spalle . Cosa succede ? ecco che si vede Bonaparte  scaraventare la sciabola sul tavolo costringendo i sottoposti a voltarsi e quindi fissarli , uno alla volta diritto negli occhi,  fino a imporgli di levarsi il cappello. Siamo nella quintessenza di quando un film che dovrebbe interpretare la storia si fa esso stesso storia: Napoleon  di Abel Gance che doveva consegnare alla Settima Arte la ratifica di un mito così come era pervenuto  da quel meccanismo di esaltazione  messo in evidenza dallo storico Guglielmo Ferrero, è forse il  film  più mancato della storia del cinema,  difatti, essendo tale film del 1927, la diffusione del sonoro ne bruciò  il colossale potenziale di successo e diffusione  :  forse proprio a causa di questo mancato, in questa sua riproposizione  dopo oltre mezzo secolo lo scenario di ambientazione era quanto mai  caricato:  da un triplo schermo a  Massenzio, in piena atmosfera di quell'Estate Romana voluta dal sindaco Argan e dell’Assessore. Renato Nicolini . In effetti quel film, Napoleon aveva tutte le peculiarità di quel grande mancato di cui spesso, opere, persone, eventi, addirittura città e civiltà, sembrano venire intessuti. Realizzato con grandissimi mezzi intorno al 1927, avrebbe dovuto oscurare tutti i grandi colossal usciti fino ad allora, ma era però apparso, come e’ stato accennato,  sugli schermi proprio quando la provocante voce di Al Johnson disse la famosa frase “Signori non avete ancora sentito nulla!”.  Lo disse Groucho Marx “un film è assai meglio della realtà” , così era anche quel film, per concezione, ampiezza di vedute, tecnica cinematografia con dissolvenze incrociate, carrellate fantasmagoriche, effetti di fotografia, uso di viraggi in relazione alle scene.. “pensa” avevo detto a Renato Nicolini di cui ero amico e anche consulente proprio per quella presentazione di tale film “ non è affatto vero che Estasi con Hedy Lamarr è stato il primo film dove si vede un seno nudo di donna, nella grande festa del ballo per la fine del “terrore” di Robespierre e Saint-Just, c’è una scena di ballerine che danzano tutte allegramente a busto scoperto. Ora Abel Gance il regista di Napoleon novantenne era lì in prima fila, nelle poltrone di Massenzio, omaggiato da tutte le autorità e anche dal sottoscritto, che era in fibrillazione nello stringere la mano ad un simile “campione” del mancato, questa volta non tanto alla storia, quanto allo spettacolo, ma, che questa volta, la realtà gli aveva dato la sua rivincita. L’entusiasmo del pubblico alla rappresentazione, i tre schermi con i riflettori che sul finale dividevano la luce nei colori della bandiera francese, manco a dirlo con la musica della “Marseillese”, furono qualcosa di epocale, in quella splendida notte romana.
Lo vedi che strano, la realtà a volte concede qualche rivincita, ho detto sempre che forse noi sulle generali viviamo un po’ troppo e che per lo più siamo destinati ad essere superati dalle cose del mondo, ma di certo il vecchio Abel Gance quella sera non sarebbe stato del mio stesso avviso, glielo si leggeva negli occhi di vegliardo, dove si intravedeva il lampo dell’orgoglio di aver fatto un qualcosa che, d’accordo il botteghino e quindi lo spettacolo in genere, aveva condannato come fallimento, ma non all'oblio. Lo ripeto fino a pochissimo tempo fa nessuno mi avrebbe convinto del contrario, il film che in quel fantasmagorico scenario ci  incollò tutti a fronte di quel triplice schermo, ove come un fantasma aleggiava  in una sorta di dissolvenza tra realtà e immaginario  la veneranda figura del suo autore, in poltrona d’onore lì nella rappresentazione,  ma anche  ben dentro l’immagine filmica  nella accattivante parte che si era scelto del  terribile “angelo della morte” Saint Just.   L’attore che impersonava Napoleone
nel film Albert Dieudonné era perfetto nella parte, si ma quale parte? quella che la storia ha voluto tramandarci, ma non certo quella della  realtà dove  un ubbidientissimo  giovane generale  praticamente con un quasi nullo curriculum,  si accingeva goffo ed impacciato a recitare appunto la parte di esecutore di un piano che aveva ben altri ideatori e di certo  del tutto inconsapevole di quello che un mélange di caso/necessità, e anche fortuna gli stava apparecchiando, e che magari qualcuno avrebbe chiamato storia ;
 a pensarci bene è sempre un pò così! non è forse vero che siamo sempre costantemente superati dagli eventi che dobbiamo vivere? la nostra stessa struttura anatomica è congegnata di tal fatta, abbiamo gambe per camminare e alla bisogna, correre, verso dove? verso qualcosa, braccia per cogliere…mani per afferrare e un cervello per pensare…prima: pro-tendersi, pro-gettare, pro-porre…. tutto quel benedetto “pro” che guarda un pò è giusto il prefisso del nome di quello che ci ha fatto questo regalino: il mitico Prometeo, dove quel “pro” è unito alla forma “methes” del verbo “mantano” = io penso: e quindi Prometeo è “colui che pensa prima” in anticipo, proprio come cerchiamo di fare noi. Eh già, ma su cosa è fondato tutto questo “pro”? su di un furto! un furto agli dei, che permalosi come sono non l’hanno presa per niente bene, e a parte i risvolti più o meno truculenti verso l’autore di quel furto (roccia del Caucaso, catene, aquila che rode il fegato) e anche verso di noi (il taglio che separa l’essere umano, prima “amphiteroi in due parti distinte (dia-boliche) blandamente spinte dal dio Eros alla ricongiunzione (simbolica), hanno fatto in maniera che noi fossimo appunto costantemente superati dalle cose che desideriamo; per questo forse i latini hanno coniato la parola desiderio (de sidera) ovvero essere intorno, dalle parti, nei pressi, nei paraggi di dove dimorano le stelle che non sono affatto fisse, anzi per il solo dato di presentarsi alla nostra vista, esse debbono essere già estinte da milioni di anni. Paradossale dunque che il vecchio Abel Gance abbia avuto il suo “successo” cinquanta  e passa anni dopo, ma anche paradossale che noi comuni mortali siamo sempre lì a combattere con le cose del mondo e l’unico modo per impadronircene veramente è forse quello del ri-assumerle, non nella realtà , ma in una sorta di immaginario, dove, come la riedizione di Napoleon a Massenzio, quello che conta, non è come siano andate veramente le cose, ma come le reinterpretiamo noi, come ri-mettiamo il tutto insieme , ovvero con una operazione “simbolica”. A seguire poi i fatti cercando di districarci tra realta' e finzione : cosa fa il nuovo Generale  appena arrivato? a parte la sciabola scagliata sul tavolo, del film Napoleon e il discorso ai soldati del siete "maceri e malvestiti" un po' troppo caricato per essere inteso reale (quella prospettiva delle piu' fertili pianure del mondo dove i fiumi riluccicano come scimitarre d'oro" forse e' un tantino esagerata), cosa fa veramente ? Esegue alla lettera il Piano che il Direttorio aveva  ricalcato sulle Mémoire de l’Armée D’Italie, redatto l’anno precedente, da un gruppo di giovani generali di cui anche lui aveva fatto parte, uno dei tanti, non certamente il più importante , soprattutto non quello che sarebbe stato destinato a eseguirlo. Si è fatto cenno a questo Piano ora è il momento di approfondirlo un tantino :  sotto il profilo tattico, il primo obiettivo doveva essere la città e fortezza di Ceva che doveva essere attaccata  da due lati delle forze d’Armata, la prima lungo il Tanaro, la seconda  da Savona, per poi proseguire nella direttiva di separare le forze austriache da quelle piemontesi e procedere verso la Lombardia . Le linee strategiche per l’Armata del Piano del Direttorio, però non riposavano in Italia, ma prevedevano l’invasione della Germania  attraverso l’Italia,  e Napoleone esegue alla lettera le disposizioni :  fissa il suo Quartier Generale d Albenga ed comincia col volgere la sua attenzione a Ceva, primo obiettivo posto appunto dal Piano e la riprova è data dal suo recarsi  il 9 aprile 1796 nella Valle del Tanaro per parlare con Serurier che comandava quel settore, neppure prendendo  in considerazione una offensiva dalla parte di Montenotte, dove si badi bene sarà trascinato a reagire non operando da attaccante, ma da attaccato: attaccato  dall'ala sinistra dell’esercito austriaco che riusciva a sorprendere i francesi conseguendo alcuni vantaggi territoriali in direzione  del colle di Cadibona e Savona: così crolla uno dei miti più inossidabili della aurea napoleonica : che lui sia arrivato e paffete come d’incanto successi a ripetizione : Dego, Millesimo, Cairo Montenotte. In verità furono gli Austriaci a dare inizio alla Campagna d’Italia in quell’aprile 1796  e le controffensive che  portarono alla vittoria di Cairo Montenotte il 12 di aprile,  furono merito non tanto di Bonaparte quanto  dei Generali Massena e Leharpe che erano accorsi prontamente. Altro particolare spesso sorvolato dagli storici, specie quelli meno approfonditi e anche il nostro famoso film Napoleon, (che su queste prima battaglie della campagna d’Italia, chiude  la sua visione, facendo aleggiare sullo schermo tricolore, lì a Massenzio, un’aquila volteggiante a simbolo della gloria , lasciando intendere di voler continuare la narrazione in una parte successiva) , fu che  subito dopo la vittoria di Cairo Montenotte, Napoleone ritornò al piano originario del Direttorio, ovvero l’attacco di Ceva e quindi lasciò  lo scontro cogli austriaci per preferenziare quello coi Piemontesi;  fu addirittura ipotizzato che Bonaparte disubbidì al Direttorio  nel non continuare lo scontro verso gli austriaci, ma è una di quelle, diremmo oggi "fake news" da manuale : il Direttorio  non aveva mai ordinato a Bonaparte di inseguire gli Austriaci  ed anzi aveva tassativamente ordinato di non fare alcun movimento se non prima di aver occupato Ceva. Nei giorni seguenti Napoleone  operò contro i due eserciti,  quello austriaco che era stato sconfitto a Cairo Montenotte e quello piemontese che presidiava Ceva e la valle del Tanaro, su più direzioni,  nei combattimenti un po’ altalenanti di Dego, Millesimo, dove alla fine i francesi finirono  per avere la meglio e solo quando fu  tranquillo rispetto agli austriaci, il 16 aprile  si girò  verso Ceva prendendola d’assalto, ma venendo sanguinosamente respinto . Ora va sottolineato come tale ultima operazione, appunto l’occupazione della fortezza  di Ceva, ha sempre fatto storcere il naso agli storici, specie quelli agiografici di Napoleone:  difatti attaccare di petto un campo trincerato, anche se era espressamente e tassativamente stabilito dal Piano del Direttorio, non è propriamente una di quelle azioni che un buon generale, figuriamoci uno che diventerà Napoleone, farebbe mai, per cui tutti si sono chiesti  come sarebbero andate le cose, se il giorno seguente Colli il comandante in capo dell’esercito piemontese  avesse difeso la città? Cosa aveva portato Colli ad abbandonare il campo trincerato ed evacuare la cittadina  lasciandovi solo una piccola guarnigione che sarebbe capitolata pochi giorni dopo, facendo di fatto i francesi padroni del campo senza ferire??? Ecco qui si entra in un campo appunto dove storia e fortuna si confondono, ma anche lasciano uno spiraglio di “altra” necessità che forse risente di fattori che nessun piano precostituito può prevedere. Fortunissima ovviamente per il giovane Generale che si trova questo inaspettato regalo e per la prima volta va parzialmente  contro le direttive di Parigi non rimanendo a Ceva, ma inseguendo il nemico. Il punto è che alcuni documenti ritrovati anni dopo, mostrano che le direttive del Piano del Direttorio non erano poi così assolute, si legge difatti in una di queste “Istruttorie” : “ il Direttorio  lascia al Generale in capo la libertà  di dirigere le operazioni sia che ottenga vittoria completa , sia che il nemico si ritiri verso Torino e l’autorizza a dar ancora battaglia, fino a bombardare la capitale,   se le circostanze rendessero questa azione necessaria “. Come dice giustamente Ferrero si ravvede il linguaggio ovattato del Direttorio, ovvero non ordinare mai, non imporre alcunché, ma sempre proporre, suggerire, consigliare, spingere cioè il generale ad ardire, ma senza forzarlo si dal non rimanere coinvolto in una sconfitta, sconfitta che 2 giorni dopo il 19 aprile doveva puntualmente arrivare in una forte posizione che proteggeva la ritirata delle truppe di Colli, quella di San Michele; nessuno, o quasi,  ha mai sentito nominare questa battuta d’arresto nella trionfale marcia dell’Armeè d’Italie e del suo giovane generale, che pure fu  addirittura più grave di quella di Ceva,  tanto da costringere il Bonaparte a convocare il Consiglio di guerra. Però a questo punto, la riesamina dei fatti puramente militari:  vittorie, sconfitte, assalti, inseguimenti , battute d’arresto, deve caricarsi di qualche altra valenza ed  andare un po’ più a fondo di quella  generica indicazione di fortuna che starebbe lì a fare da rimpiattino tra caso e necessità. Come mai Colli comandante dell’esercito piemontese si comportò in maniera così contraddittoria:  respinge il nemico, lo vince addirittura, ma non ne approfitta, anzi si ritira abbandona campi trincerati e però si assicura la ritirata sempre rintuzzando gli attacchi, come successe ancora il 21 aprile a Mondovì vicinissimo Torino;  d’accordo questa volta le cose andarono un po’ meglio per i Francesi, ma non impedì comunque a Colli e l’esercito di raggiungere Cherasco il 24, giusto ove dopo velocissimi preliminari, il 28 aprile la corte sabauda di Torino  richiedeva  un armistizio per negoziare una pace separata con la Francia, il tutto con  l’esercito austriaco appena  a due giorni di marcia da tale cittadina. Cosa c’ è dietro questo contraddittorio comportamento  dei Piemontesi, del suo esercito e generale in capo, e del suo Re? Ripetiamo che gli storici specie quelli di marca napoleonica, quelli che come il nostro regista Gance, hanno contribuito a diffondere il mito del generale infallibile, vero grande genio sia tattico che strategico, l’unico dell’era moderna paragonabile ad un  Cesare, ad un Mario, ad uno Scipione, ad un Alessandro, sono sempre stati particolarmente imbarazzati nel descrivere le fasi di questa improvvisa richiesta di armistizio da parte del Regno di Sardegna ad una Francia la cui Armata non ne aveva mai seriamente impegnato le sue truppe: Colli non era mai stato battuto in campo aperto, il suo esercito non era affatto disfatto e neppure  era stanchissimo come i manuali di storia oramai riportano con quasi monotona  litania;  anzi se vogliamo essere franchi, erano i francesi ad essere molto più stanchi . Si deduce quindi che la Corte di Torino non chiese la pace perché non poteva, ma semplicemente perché non  voleva più, combattere. Politica non strategia. In verità se si va un po’ più sul profondo si evince che quell'alleanza con l’Austria, al Regno di Sardegna non era andata mai giù, fin dalla sua stipulazione nel dicembre 1795: i motivi che l’avevano  indotta erano sul proseguo della coalizione contro la Francia rivoluzionaria che giustappunto in quel periodo  era in procinto di attaccare in Italia con la sua Armata apposita, anche se in verità con un compito di solo passaggio per prendere alle spalle la Germania e congiungersi colle truppe impegnate sul grande fronte austro-tedesco, che erano sotto il comando del Gen. Moreau un Generale di grande esperienza e con un notevole curriculum di battaglie e vittorie , non certo uno sconosciuto novellino come Bonaparte. La verita' e' che il Piemonte non aspettava altro che una piccola scusa per venir meno all'alleanza con l'Austria (eh viziaccio atavico dei Savoia, passato in eredita' al Regno d'Italia ) , tanto da dare disposizioni a Colli  di non difendere Ceva e intraprendere piuttosto una ritirata strategica per riportare le truppe verso Cherasco dove la diplomazia stava già  ordendo un armistizio separato con la Francia. Una sola battaglia di una certa entità persa dall'alleato e una ritirata strategica effettuata peraltro magistralmente dal Gen.Colli, tanto erano bastati al Piemonte per chiedere un armistizio e di fatto ritirarsi dalla guerra . Detto per inciso va a anche rilevato che il Bonaparte  per inseguire l’esercito nemico aveva allungato enormemente le sue potenzialità logistiche (riserve, magazzini, salmerie, vettovagliamento, etc)  e quindi l’Armata era davvero in condizioni miserevoli, molto molto di più dei Piemontesi;  ma qui ecco,  siamo in presenza di quell'ineffabile della storia che è la Fortuna:  Fortuna che Colli non contrattaccasse e fortuna anche che Beaulieu non approfittasse dello stato dell’Armata francese  per scagliarvisi contro con tutto il suo esercito. La Fortuna a volte arriva nella congerie degli eventi umani e si può più o meno afferrarla e coglierla , i greci antichi parlavano in tal senso di “Kairòs”, che tradotto suona un po’ come “il tempo opportuno “ correlandovi la figura del tiro con l’arco e il raggiungimento del bersaglio da parte della freccia;  ecco diciamo che il Generale Buonaparte mostrò finalmente una delle sue innegabili doti:  saper cogliere il momento più opportuno, schierarsi dalla parte della Fortuna, che nell'immaginario collettivo, ma anche storico e persino avallato da lui stesso,  ha un “ “topòs”  preciso : il ponte di Lodi.

E' difatti  proprio da questa battaglia svoltasi sul Ponte di Lodi, non di rilevante importanza militare, ma di enorme  importanza psicologica, in quanto punto di origine del mito Napoleone così come si è andato costruendo nell'immaginario collettivo della storia, che si diparte tutto il nostro  ragionamento di "recitare una parte"  che come detto fa seguito ed è in correlazione  con quello dello storico Guglielmo Ferrero.   
Di fondamentale importanza il fatto che proprio l'interessato ovvero il non ancora ventisettenne generale Napoleone Bonaparte, contribuì non poco alla formazione di questo vero e proprio mito, asserendo nelle sue memorie  che in  lui la visione della futura grandezza gli derivò appunto da quella battaglia " Fu solo nella serata di Lodi "raccontò nelle sue memorie "che cominciai a ritenermi un uomo superiore e che nutrii l'ambizione di realizzare grandi cose...." il fatto degno di nota è che la stessa cosa scaturì non in una, ma in tutte le menti del Direttorio ivi compreso nelle menti dei Generali che all'unisono con lui compreso, avevano fissate le disposizioni del piano di cui, non dimentichiamolo mai, fino allora, lui che si era ritrovato per una somma di fortuite circostanze ad assumerne l'onere/onore di realizzarlo, vi si era attenuto in maniera  esemplare.  Difatti il Direttorio, preso atto con  gradita sorpresa  che le notizie del fronte italiano avevano un favorevolissimo impatto in tutta la Francia, pensò bene di enfatizzare quella scelta, che a parte i sottesi favori, le regalie, ed anche i  compromessi,  risultava esclusivamente propria, pensò bene di enfatizzare la figura del giovane fino ad un paio di mesi prima completamente sconosciuto Generale,  quasi costituendo un eco a quelle impressioni del tutto soggettive del protagonista. Poco importanza aveva il fatto che in verità la battaglia di Lodi era stata in realtà uno scontro  vinto contro una retroguardia nemica, lasciata di presidio a Lodi,  su disposizione di  Beaulieu,  di fermare l’avanzata francese giusto il tempo  da consentire al grosso dell’esercito austriaco  di ritirarsi oltre l’Adda, questo dopo che  Napoleone aveva violato la sovranità  del Ducato di Parma per attraversare il Po a Piacenza impossibilitato a farlo nel tratto di confine con la Lombardia,  dato che in ossequio alla sua esemplare  ritirata strategica Beaulieu  aveva distrutto tutti i ponti di tale tratto e requisito tutte le barche.  L’agiografia storica e non solo quella napoleonica  si è sempre compiaciuta di mostrare la differenza tra i due Generali  Beaulieu e Bonaparte,  il primo  quasi un vecchio trombone ancorato a regole e condotte di guerra sorpassate  mentre il secondo portatore delle idee nuove dei tempi che di tali regole si facevano beffe, con differenti strategie:   prendendo a motivo   proprio questa occasione in cui il Bonaparte aveva ovviato alla distruzione dei ponti e  alla requisizione di tutte le barche  del tratto di confine con la Lombardia che Beaulieu aveva effettuato,  invadendo  il neutrale Ducato di Parma per attraversare il fiume a Piacenza  e trovarsi di fronte quindi a fronte dell’esercito nemico. Ma anche questa è più leggenda che storia, o perlomeno una gonfiatura:  difatti   Beaulieu dopo l’armistizio di Cherasco e la defezione del Piemonte, non aveva nessuna intenzione di accettare una battaglia campale con l’Armata  Francese, anche perché questa proprio in virtù della “messa in scena” che stava cominciando ad ordirsi del generale invincibile,  questi aveva  ricevuti notevoli rinforzi di uomini e materiali ed era in netta superiorità numerica: la verità è che Beaulieu stava effettuando una perfetta ritirata strategica e per farla, ponendo il grosso del suo esercito al sicuro oltre l’Adda, aveva anche usato lo stesso stratagemma utilizzato dal suo più giovane antagonista: invadere uno Stato neutrale, nella fattispecie la Repubblica di Venezia. Quindi neppure quella di un nuovo modo di fare  le guerra secondo lo spirito della Rivoluzione,  che se ne irrideva di tutte le regole della guerra del XVIII secolo,  era una verità, tant’è che proprio un Generale di quella vecchia scuola l’aveva utilizzata senza problemi. La verità è che Napoleone fece mostra di una sorta di abbaglio, che tendera’ spesso a ripetere  e che già di per sé inficia quella nomea di grande stratega e generale invincibile che contemporanei e posteri gli hanno attribuita : non valutare con esattezza l’entità delle forze nemiche:  qui a Lodi si tratto’ di una sopravvalutazione,  ovvero scambiò una retroguardia per l’intero esercito nemico, a Marengo quattro anni dopo, si ebbe il netto contrario:  scambio’ l’intero esercito austriaco per una retroguardia. Ora, se nel primo caso lo sbaglio fu facilmente riparato ed anzi si potè, anche da parte del Direttorio,  gonfiare la cosa e farla passare per una grande vittoria, a Marengo se non ci fosse stata la
disubbidienza di un suo  sottoposto il Generale Desaix che contrariamente agli ordini che gli erano stati impartiti, fece marcia indietro con le sue  due Divisioni, e le scaglio’ contro l’esercito nemico che già si era impadronito del campo di battaglia, sarebbe stata certamente la disfatta e non quella straordinaria vittoria, di gran lunga la preferita da Napoleone, caratterizzata da quella mitica frase non sua , ma proprio di quel generale Desaix che aveva disubbidito ai suoi ordini :   “una battaglia è perduta? c’è il tempo di vincerne un’altra!” frase che non si è neppure sicuri della sua effettiva pronuncia da parte del giovane Generale (era coetaneo di Bonaparte) prima di perdere la vita colpito in pieno
petto da una palla nemica appena slanciatosi alla testa delle sue Divisioni contro gli austriaci, frase   che  ovviamente fu fatta passare per vera, destinata a rimanere per sempre nell’immaginario dell’epopea napoleonica, anche se a ben vedere avrebbe dovuto rappresentarne la relatività. Torniamo quindi al cospetto di quella quasi magica entità che cominciava a seguire il Generale Bonaparte, la Fortuna e di certo una sua ancora più fortuita circostanza che metteva in correlazione le vicende belliche  del generale con le aspettative che il popolo francese si aspettava da lui e il  Direttorio che si premurava di confezionargliele  adeguatamente. Che questa ulteriore manifestazione della Fortuna non fosse, militarmente parlando, niente di così straordinario lo deduciamo dalla semplice cronologia degli episodi salienti della battaglia di Lodi : le avanguardie francesi arrivarono diffatti in vista di Lodi nelle prime ore della mattina del 10 maggio, quando ormai l'intero esercito austriaco era in salvo oltre l'Adda, mentre alla difesa della cittadina era, come abbiamo fatto cenno, rimasta  una retroguardia di 10.000 uomini agli ordini del generale Karl Philipp Sebottendorf. Questo aveva piazzato tre battaglioni e sei cannoni in posizioni che dominavano il ponte di Lodi e la strada d'accesso e altre due sezioni di tre pezzi l'una erano appostate in ogni lato della strada. Napoleone attaccò frontalmente  sul ponte con i Granatieri, mentre con un contingente di cavalleria cercava  di guadagnare un guado per aggirare gli austriaci: l’assalto  dei granatieri fu però fermato  proprio a meta’ del ponte, sicché il Generale Massena si vide costretto ad intervenire e con il concorso di altri generali Berthier, Dallemagne e Cervoni  riuscì a guadagnare la sponda opposta. Un contrattacco di Sebottendorf fece quasi riprendere agli austriaci il ponte, ma sempre il solito  Masséna cui si aggiunse l’apporto di un altro dei Generali in seconda di Bonaparte, Augereau, riuscì a stroncare  l'azione irrompendo nelle linee nemiche, favoriti i due comandanti in seconda dell’Armata nel pieno successo,  dal provvidenziale arrivo dei cavalieri del Gen. Ordener che nel frattempo avevano trovato un guado. Sebottendorf si disimpegnò subito e si ritirò verso il grosso delle forze di Beaulieu, lasciandosi dietro 153 morti, 1.700 prigionieri e 16 cannoni. I francesi ebbero in totale 350 perdite,  pertanto possiamo concludere  che  la  vittoria di  Lodi fu ben lungi dall'essere un grande successo così come fu subito rappresentata ed anche così come  è stata tramandata, difatti fu  conseguita su di una semplice retroguardia dell’esercito principale, il cui Generale subordinato Sebottendorf riuscì a disimpegnarsi con quasi tutte  le sue truppe per confluire nella perfetta ritirata strategica del comandante in capo Beaulieu, che a conti fatti non fu affatto quel pigmeo rispetto al gigante  cui la storia ha voluto tramandarlo. Da una parte Napoleone non fu esattamente quell’interprete straordinario di novello genio militare, cui proprio da quei tempi è stato cominciato ad additarsi; dall’altra Beaulieu, come abbiamo appena visto, fu tutto tranne che un incauto e sfortunato generale che ebbe a cimentarsi contro il “genio” per antonomasia , venendo battuto a ripetizione, ma un oculato stratega, magari non di fase offensiva, ma di certo un vero maestro di ritirate strategiche. Abbiamo visto che a creare, specie la prima di “leggenda” fu proprio il Direttorio per motivi di opportunità e convenienza: conveniva difatti ad un Organo di Governo, asceso così rocambolescamente al potere, senza alcuna legittimizzazione legale e popolare, sfruttare le occasioni della Fortuna, quale si presentassero, per oscure e contraddittorie che fossero, ecco! proprio del tipo di un generale venuto dal niente, praticamente senza una carriera a sostegno, con un incarico avuto piu’ che altro per camarille “di letto” e che potesse essere investito di una gloria tutta da gonfiarsi, appunto fargli “recitare quella parte” che abbiamo ripreso dalle tesi di un vecchio e dimenticato storico e che oggi in una fase della storia del mondo, che questo “recitare una parte” sembra diventata una caratteristica non solo episodica o accessoria di “esser-ci”, dovrà essere argomento di approfondimento e dovrà essere sviscerata fino all’esaurimento. In effetti conveniva al Direttorio, conveniva a quel po’ di Rivoluzione che ancora accompagnava il Popolo francese, conveniva alla guerra in corso contro le coalizioni europee, conveniva anche alle finanze dello Stato, sempre in cerca di soldi, che un Esercito sul campo provvedesse a emettere tributi, fissare indennita’ di guerra, fare razzie e incetta di opere artistiche dei territori che via via occupava, il tutto da inviare sollecitamente alla madre patria: un qualcosa quindi, questa supposta grandezza che alla fin fine, come abbiamo visto dalle memorie dello stesso Napoleone della notte successiva allo scontro di Lodi, stava cominciando a far breccia, innanzi tutto su se stesso sulla sua particolare personalità che per la prima volta si sentiva come investito di un potere straordinario e che di lì a poco, possiamo stare tranquilli, tutti, ma proprio tutti, amici e nemici, popolino e grandi uomini, contemporanei e posteri, gli riconosceranno tutti, all’unisono.

IL MALE VIEN DAL MARE

  Mi sono sempre chiesto se ci sia qualcosa o qualcuno, che possa essere indicato come il  responsabile e anche all'origine dell'att...