venerdì 21 ottobre 2022

PER FAVORE NON TOCCATE LE.....

 

Bersani e' l'ultimo esempio della intolleranza verso il passato e quindi verso la storia. Lui vorrebbe rimuovere la foto di Mussolini, or non mi ricordo neppure se dall'elenco dei Presidenti del Consiglio a Palazzo Chigi, o da chissa' quale altro palazzo, ma in verita' e' solo l'ultimo di tanti imbecilli che hanno sempre cercato di cancellare quello accaduto prima del loro piu' o meno avvento a certe posizioni. Per gli antichi romani, oltre la confisca dei beni, magari la condanna a morte del personaggio caduto in disgrazia, scattava  la "damnatio memoriae" che a guardare bene ha sempre sortito un effetto contrario in merito al ricordo del soggetto colpito da tale anatema  (basti pensare a  Caio Mario, a Catilina, a Nerone, a Caligola)    Tanti tanti anni fa a Parigi, in una delle bancarelle lungo senna (Bouquinistes) capitai un curioso e gustosissimo romanzo "Mendelsshon c'est sur le toit" dello scrittore ceco Jiri Weil in esso
vi erano una serie di episodi della Praga durante il periodo dell'occupazione nazista, dove con sarcasmo veniva affrontato il tema del cambiamento di immagine anche a livello di memoria, che ogni regime che si sovrappone ad un precedente, tenta di effettuare a livello di collettivo, in una delle sue esternazioni più manifeste, ovvero quella di statue, monumenti.  Nell'
episodio che dà titolo al libro, i nazisti ordinano di rimuovere la statua del compositore Mendelsson, in quanto ebreo dal tetto dell'Accademia di Musica di Praga, ma il funzionario preposto, incapace di riconoscerla, opta per rimuovere la statua con il naso più grosso, che era quella di Wagner. Sempre nel medesimo romanzo si parla di un fotografo che girava per le piazze della città, fotografando i monumenti non ancora spostati. Decisamente ce ne aveva di lavoro!!!... e tutto questo mi faceva tornare alla memoria le discussioni e polemiche che si erano avute, tanto per cambiare, ad una lezione di Bruno Zevi, su quella ipotesi, assai controversa di "sventrare gli sventramenti", ovvero se sia lecito e legittimo che ogni manifestazione di un passato storico venga rimossa, cambiata, cancellata, avallando così quel principio alquanto inquietante che “la storia la fanno i vincitori”. Praga,  molto probabilmente stante i cambiamenti di regime negli ultimi cent'anni, ha molte piu' statue ed icone varie, che sono state rimosse, sostituite, distrutte, che noi in Italia, dove la furia iconosclasta si e' grosso modo esaurita in un solo giorno, quello  del 26 di luglio del 1943 alla notizia della sfiducia del Gran Consiglio del fascismo verso Mussolini; pero' forse anche questo  accresce il fascino struggente della citta' d'oro,  dove la rimozione si appunta sul suo corpo, facendone oggetto di mancato che spinge al suo recupero, sortendo quindi un effetto di contrasto un po' alla maniera della "damnatio memoriae" dei romani. 
Rimozione e mancato giocano quindi sul versante della fascinazione ed ecco perche' i vari Bersani e tutti i fautori dello "sventrare gli sventramenti " sono doppiamente idioti: chi ignora o peggio cerca di ignorare la storia,  non fa altro che esaltare ed anzi ripeterne gli eventi,  come diceva  Santayana.  Non mi ricordo quale deputato italiano in visita negli Usa si lamento' con Il Presidente Eisenowheer che ci fosse a Chicago una strada  dedicata ad Italo Balbo, avendone in risposta "perche' Balbo non ha fatto la trasvolata atlantica?"... Ecco probabilmente l'america  con la sua democrazia iper permissiva, ma anche iper consumista e' la Nazione con meno mancato, pero'. aggiungo io.  e' anche per questo che e' la nazione con meno fascino: In Italia andiamo alla ricerca proprio degli angoli di citta' colpiti dagli sventramenti : la spina di Borgo, il Porto di Ripetta hanno molto piu' fascino della pur meravigliosa Scalinata di  Trinita' de' Monti e questo vale non solo per l'architettura, ma un po' per tutto, come dimostra la popolarita' che di questi tempi ipertecnologici e di rapido accelleratissimo consumo, abbia tutto cio' che rientra nel termine di "vintage"  Ecco perche',  facendo ritorno a Praga, fanno molto piu' opinione i propositi di ricostruire la statua di
Radetzsky che le polemiche sullo spirito provocatorio delle opere di Cerny. Io ad esempio che sono un ultra conservatore  con innegabili suggestioni reazionarie, pur non essendo mai stato comunista ho un rimpianto struggente per il complesso della statua di Stalin  
che dominava maestosa dalla collina di Letna, memoria bruscamente interrotta di un'epoca! Il comunismo non è stato un giorno in Cecoslovacchia e di queste operazioni, con tanto di ripensamenti, brillature con dinamite delle precedenti rappresentazioni più o meno monumentali, vuoi con statue o semplici denominazioni toponomastiche di persone e fatti non più "allineati"  ce ne sono a non finire. In proposito forse  con la cattiva coscienza della continua ecatombe di statue, il vicepresidente del consiglio Vaclav Kopecky inaugurando  il 1 maggio 1955 proprio il mastodontico monumento a Stalin, a Praga, sulla collina della Letna, volle provocatamente   dichiarare : «questo monumento è destinato a durare nei secoli» -  Durerà sette anni e qualche mese. Eppure il nuovo regime comunista ci si era messo d'impegno a partire dal ' 49 per onorare degnamente gli appena compiuti settanta anni del Dittatore  per creare giustappunto un'opera immortale, quasi di risposta al Exsegi monumentum aere perennius" di Orazio.Il concorso aveva prodotto essenzialmente soluzioni stereotipe e semplicistiche: in genere  uno Stalin a figura isolata, congelato nel gesto di muovere il passo, le braccia allargate come un Golem da film muto. Vennero esposti, quei modelli, nel dicembre del ' 49, in una sala della Casa di Rappresentanza: deve essere stato davvero inquietante metter piede là dentro, scivolare in piano sequenza lungo quei quaranta e più Stalin in miniatura, braccia larghe e sguardo accattivante e forse chissa' aveva  inquietato lo stesso Stalin. Fatto sta che il vincitore  Otakar Svec, li aveva sbaragliati tutti i suoi ingenui concorrenti, proponendo un imponente agglomerato, un cuneo simbolico che vedeva in testa Stalin con indosso un pastrano militare e in mano un libro. Dietro di lui, sui lati lunghi del parallelepipedo, i bassorilievi che raffiguravano - in due gruppi allegorici di quattro elementi ciascuno - il popolo sovietico e quello cecoslovacco: il soldato, l' intellettuale, l' operaio, il contadino... Una ben studiata campagna trasformerà l' impresa nel megacantiere a cielo aperto della costruzione del socialismo, quasi la sua rappresentazione figurata. Gli scrittori non stavano  più nella pelle e, prima ancora che i lavori fossero avviati, già vedono svettare sulla collina la statua che ancora non c' è. Scriveva  Pavel Kohout, il candido cantore di quegli anni: «Alto sopra la spalliera dei larici e dei viburni assopiti, / intessuto e sognato di marmo e di stelle, / nel so rriso nostro Stalin sorride, / sicura sentinella dei nostri lunghi cammini».Ma a partire dalla solenne inaugurazione di quel «colossale monumento al servilismo ceco e allo stesso tempo alla sua gigantomania» avviene però un fatto straordinario: il monumento ormai completato sembra non produrre più scrittura. La relazione segreta di Krusciov al XX Congresso del PCUS del febbraio 1956 (pur recepita in ritardo) spinge i censori alla cautela, gli scrittori al silenzio. La surrealista Eva Medkova scatta al monumento una foto: la macchina fotografica è puntata su Stalin, ma è quasi attaccata al piedistallo, molto in basso. Il risultato è un fantasma irreale, la punta di una scarpa, la piega del pastrano: un' assenza. Un' assenza a cui darà corpo l' esplosione del 20 agosto 1962, che non a caso si evolvera' in mancato, suscitando nell'animo di chi comunista non e' stato mai, un rimpianto struggente, come di una fetta di memoria storica perduta, anzi piu' che perduta, lacerata. E' sempre lo stesso meccanismo dell'effetto paradossale della "damnatio memoriae" dei Romani   
L' esplosione della statua di Stalin, incipit anticipato della Primavera di Praga, darà l' avvio a un revival del monumento che prenderà a riapparire per interposta figura, per allegoria, talvolta persino nella sua ingombrante fisicità. Ma, nel suo primo ritorno, appare solo nella propria assenza. Ciò avviene nel finale del bel cortometraggio di appena un anno dopo la distruzione di  Pavel Juracek: Una persona da appoggiare (1963). L' inquadratura si allarga mostrando 
in lontananza il piedistallo vuoto del monumento. La cinepresa comincia a scendere sui gradini della scalinata. Lo sfondo sonoro trasmette il tonfo ripetuto di una caduta. Quel piedistallo vuoto però inquieta. Si cerca di esorcizzarlo, immaginandoci sopra schermi da proiezione per statisti intercambiabili, o magari uno Svejk da disegno di Lada. In una successiva vignetta di 5 anni dopo alla vigilia dell'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'URSS, si vede  un attonito passante a fronte  un piedistallo vuoto che proietta sul muro l' ombra allarmante di un oratore in piena azione: il braccio alzato, un libro stretto nell' altra mano. Il mancato nel suo venir percepito come assenza proietta il suo impianto negativo nella suggestione umana, diviene immaginario come i numeri in un cambiamento da status a flusso del calcolo infinitesimale. Aveva ragione Bohumil Hrabal: «Che le lasciassero in pace le statue di Praga...». E non solo quelle di Praga: vaglielo a spiegare ai nostri ignoranti politici che esorcizzare il passato significa riaffermarlo, ma suvvia noi conservatori, noi reazionari, noi pensatori di destra , seguaci di Evola, di Mircea Eliade,  prendiamo il tutto come augurio per questo nuovo Governo,  finalmente di destra che guidera' la nostra Giorgia Meloni RICORDIAMOCI PERO' DI NON RECRIMINARE MAI E DI ACCETTTARE LA STORIA, TUTTA LA STORIA, SI! ANCHE QUELLA VERA!  

 

IL MALE VIEN DAL MARE

  Mi sono sempre chiesto se ci sia qualcosa o qualcuno, che possa essere indicato come il  responsabile e anche all'origine dell'att...